Prisca Taruffi di Marco Centenari «Mio padre, pioniere della sicurezza» Definire il grande Piero un pilota è restrittivo. Fu anche ingegnere, progettista, istruttore di guida, atleta. Mentre ci si appresta a festeggiare il centenario della nascita, la figlia ricorda la sua lezione. Che non prescindeva mai dal rispetto della vita propria e altrui. Tanto che fu proprio lui, durante le gare, a montare le prime cinture e a indossare il primo casco rigido Sicurezza, Prisca, sicurezza. Per guidare bene un'automobile occorre prima di tutto la sicurezza. Devi essere sicura di quello che fai. È un po' il discorso dell'equilibrio, che vale per tutti gli sport. Se vuoi imparare il judo o qualsiasi altra disciplina orientale, loro ti insegnano innanzitutto a mantenere l'equilibrio in tutte le circostanze, a non cadere. Se vuoi giocare a tennis devi pensare per prima cosa al tuo equilibrio, a stare in piedi. Se vuoi guidare un'automobile o una motocicletta devi avere un perfetto rapporto col mezzo. E devi essere tu per prima in perfetta armonia col tuo corpo. Vieni, bimba mia, ti insegno io». È Prisca Taruffi che racconta, la figlia del grande Piero, l'ingegnere volante, colui che introdusse nello sport dell'automobile elementi scientifici. L'inventore delle scuole di pilotaggio, il primo che ha trasfuso la sua esperienza di ingegnere meccanico e di pilota nella guida quotidiana. È stato lui il primo a insegnare a guidare ai poliziotti della Stradale e ai carabinieri del Pronto intervento. Poi ha insegnato a tutti gli altri, a chi voleva correre in pista e a chi voleva andare per strada in sicurezza. La prima allieva è stata Prisca, la sua bambina. «Avevo meno di dieci anni quando papa cominciò a trasmettermi la sua cultura automobilistica. Mi prendeva sulle ginocchia e mi faceva cambiare le marce. Poi passò alle prove dirette, mi faceva sedere al volante e cominciava con la partenza. Mi spiegava che cos'erano la frizione e il cambio, come il moto viene trasmesso alle ruote. Una delle manovre su cui insisteva di più, e che generalmente gli facevano perdere la pazienza, era la partenza in salita, con freno a mano, frizione e acceleratore.. Poi la guida vera e propria, su strada, col bagnato, con la neve. La frenata, la tenuta in curva, il raggio di sterzata, il punto di corda. La doppia debraiata, il punta-tacco, freno e acceleratore. Ma era il sorpasso il suo chiodo fisso, la manovra che lui riteneva più delicata e rischiosa. Cominciava con vere e proprie lezioni sulle velocità relative: quella del veicolo che si sta guidando, quella del veicolo da superare e quella dell'eventuale veicolo che sopraggiunga in senso contrario. Esatta valutazione della velocità relativa ed esatta percezione degli spazi di manovra. Era molto meticoloso e severo in questo. Poi la manovra vera e propria, la tecnica che lui definiva "a elastico". Diceva che è un errore avvicinarsi troppo al veicolo da superare e poi iniziare l'accelerazione con una brusca sterzata. Occorre mantenere una distanza tale da consentire un avvicinamento graduale ed elastico, in modo da poter superare il veicolo in piena accelerazione. Lo stile di guida che comunicava era molto fluido, leggero. La macchina va lasciata scorrere, diceva, con dolcezza e fermezza insieme, come si fa con gli sci». Oltre a maestro del volante, Piero Taruffi era un grande sportivo praticante. Sciatore, tennista, nuotatore. Fu uno dei primi piloti a curare scrupolosamente la condizione fisica. Per correre in macchina, diceva, occorre prima di tutto essere degli atleti. Proprio come sua figlia Prisca, che prima di diventare campionessa del volante e istruttrice di pilotaggio, ha praticato tennis, nuoto, sci ed è stata giocatrice professionista di pallavolo. «Papa non avrebbe voluto che io corressi in automobile. Sognava per me una carriera da tennista. Sono nata quando lui aveva già smesso di correre da due anni. Io stessa non avevo intenzione di gareggiare. Tra l'altro mi piacevano più le motociclette delle macchine. Ma grazie agli insegnamenti di papa, che io avevo trasferito ad amiche e amici, mi trovai quasi obbligata a farlo, perché mi consideravano tutti una ragazza da corsa. Tra le altre cose, ero nota per un casco rosso che papa mi aveva imposto fin dall'età di 14 anni, quando cominciai col ciclomotore. Allora il casco non era obbligatorio, ma mio padre ne è sempre stato un fautore, come delle cinture di sicurezza che noi tutti in famiglia usavamo nei nostri spostamenti molto prima che la legge le imponesse. E così mi trovai a correre, per caso, a Vallelunga. Cominciai nel Trofeo Renault 5 furbo. Mentre Emanuele Pino cercava di tranquillizzare la mamma che era terrorizzata all'idea che io fossi in pista, papa andò sulla torre dei cronometristi per osservare meglio la gara. Alla fine mi disse che le mie traiettorie non erano male. All'epoca aveva già più di settant'anni e ormai guidava di rado, sempre per la sua teoria della condizione fisica che deve essere perfetta, anche su strada normale». Sono passati 100 anni dalla nascita di Piero Taruffi. Il calendario delle manifestazioni previste quest'anno in Italia e all'estero per la ricorrenza è molto denso. In primo piano fra gli enti organizzatori c'è l'Automobile Club d'Italia. Taruffi nasce ad Albano Laziale, in collina, 25 chilometri a sud-est di Roma, non distante dalla residenza pontificia di Castel Gangolfo. È il 12 ottobre del 1906. Il padre è medico chirurgo, benestante. È un pioniere dell'automobile, appassionatissimo. È lui ad avviare Piero agli studi tecnici che lo vedranno laurearsi in ingegneria meccanica. Ma il ragazzo inizia il suo rapporto con l'automobile ben prima della laurea, sempre con l'assenso paterno. Già all'età di 17 anni vince un paio di manifestazioni tra Roma e Viterbo alla guida di una Fiat 501. La sua prima gara è del 1930, la Tunisi -Tripoli: vince alla guida di un'Alfa Romeo 1750. Per due anni consecutivi, 1931 e '32, Enzo Ferrari lo vuole nella propria scuderia alla guida delle Alfa ufficiali. Ma il rapporto si interrompe (come molti osservatori avevano previsto, dato il carattere forte di entrambi i personaggi) nel 1933. Taruffi compera una Maserati e su questa vettura, in occasione del Gran Premio d'Italia a Monza, fa montare le cinture di sicurezza. Sono bandoliere in pelle confezionate a mano dalla mamma e dalla sorella. Sembra sia la prima applicazione del genere nella storia dell'automobile. In ogni caso, l'anticipo è di quasi 30 anni rispetto all'uso obbligatorio delle cinture sulle auto da competizione. Ma c'è un altro elemento di sicurezza che Taruffi introduce da precursore: il casco. Ne indossa uno rigido, in metallo, a differenza degli altri piloti che usano cuffie in pelle o in tela. Oltre che in automobile, l'ingegnere volante corre anche in motocicletta. È direttore tecnico della Gilera, e nel 1938 in sella al prototipo Rondine a quattro cilindri con compressore stabilisce una serie di record di velocità. Ormai è un personaggio famoso, non solo per le qualità di corridore, ma anche e soprattutto per l'approccio nuovo e moderno che ha portato nel mondo delle competizioni. È un pilota che studia, che mette a punto strategie tecniche e agonistiche, il suo bagaglio di conoscenze meccaniche e la sua grande disponibilità ne fanno il consulente principe di tutti gli altri piloti. È anche distinto come figura: elegante, atletico e per una precoce canizie ha la folta capigliatura bianca. Questo gli varrà l'appellativo di "volpe d'argento", anche per l'astuzia con cui riusciva a condurre una gara. Bravo in pista, predilige però le gare stradali su lunga distanza, come la Mille Miglia, la Targa Florio e la Carrera Messicana. Corre con tutte le macchine possibili, dalla Cisitalia alla Mercedes, dalla Ferrari alla Maserati e alla Lancia. Duella con Fangio, Moss, Ascari, Villoresi, Collins, Von Trips. Ma non tralascia mai la sua vocazione di ingegnere sperimentatore. Nella rimessa della sua bella residenza romana, in via Crescenzio, costruisce personalmente veicoli da record, che poi collauda e guida egli stesso. Celebri sono rimasti gli originali e avveniristici Tarf, con struttura a doppio siluro, mossi da motori motociclistici (Moto Guzzi e Gilera) e automobilistici (Maserati). Non solo conquista record di velocità, ma riesce a stabilire anche nuovi primati nella percorrenza per litro di carburante. Il 12 maggio 1957, a cinquant'anni compiuti, vince l'ultima edizione della Mille Miglia. Enzo Ferrari gli ha messo a disposizione la macchina vincente. «Se vinco mi ritiro dalle corse», aveva detto prima della partenza alla moglie Isabella. All'arrivo mantiene la promessa. Ma è un ritiro solo dall'agonismo puro. Continua a lavorare, a studiare, a progettare. Vince le gare di consumo e insegna agli altri come si fa a non sprecare benzina e a limitare l'inquinamento. Fonda a Modena la Scuderia Centro sud con annessa scuola di pilotaggio. Progetta autodromi secondo i più avanzati criteri di sicurezza: Vallelunga e Misano Adriatico. Lo vogliono in Giappone, dove progetta altre due piste. «Prisca, ho settantacinque anni e ormai non mi sento più sufficientemente sicuro nella guida. Per favore, accompagnami tu a Vallelunga, che sei più brava di me». Piero Taruffi muore nella sua casa romana nel 1987, a 81 anni. Dal suo settantacinquesimo compleanno non aveva più guidato l'automobile, per quell'innato senso di responsabilità che ne aveva fatto un pioniere della sicurezza stradale. |