da RUOTECLASSICHE: La chiamavano "signora quattro pistoni" e fu una specie di Marina Ripa di Meana degli anni Venti: ove andava, suscitava scandalo. Era bella, tornita e spiritosa. Si chiamava Maria Antonietta Bellan, meglio nota come "baronessa Avanzo", la donna pilota più famosa d'inizio Novecento. Originaria di Contarina Veneta, in provincia di Rovigo (dove era nata il 5 febbraio 1889), aveva dimostrato subito un'indole trasgressiva e una grande passione per i motori. Ancora giovanetta, "rubò" al padre l'auto appena comprata, una piccola De Dion Bouton a un cilindro. Con quella si mise a girare per le vie del paese, guidando come un'indiavolata. Alla fine travolse il sindaco che cercava inutilmente di fermarla. Non lo uccise, ma lo mandò dritto all'ospedale. A Roma, dove si era trasferita dopo uno sfarzoso matrimonio con il barone Eustachio Avanzo, s'improvvisò giornalista sportiva e cominciò a scrivere di automobili e di aerei, ma sempre dopo averne sperimentato personalmente la guida. Nel 1919 per festeggiare la fine della guerra, si fece comprare dal marito una potente Spa "35/50 Sport" e con quella disputò il Giro del Lazio. Incredibilmente riuscì a vincere la categoria, nonostante, poco dopo la partenza e in piena velocità, avesse perduto una ruota, sabotata, come disse poi, da qualche concorrente invidioso. Ma lei, riparato il guasto, era riuscita a riprendere la corsa, dicendo a se stessa: "Maria Antonietta, sei un grand'uomo". Le femministe, per quella frase, fecero di lei un'eroina. L'anno dopo, rinfrancata dal buon risultato ottenuto, andò a cercar gloria perfino in Danimarca dove, sulla pista di Fano (vicino a Copenaghen), si disputavano gare sul chilometro lanciato. Vinse la prima manche alla guida di una Packard 12 cilindri Sport appena acquistata; poi, nella seconda, l'auto prese fuoco. Senza esitare, portò la vettura fuori pista, si diresse verso il mare poco distante e vi si infilò dentro, spegnendo così l'incendio. Non si può dire che fosse una grande campionessa, ma una donna in crinoline al volante di un'auto da corsa e in mezzo a tutti quegli uomini faceva più scalpore delle vittorie del grande asso Antonio Ascari. Per cui ne parlavano tutti, soprattutto le gazzette rosa. Figuriamoci quando donna Maria Antonietta s'impuntò per andare a correre in Sicilia la Targa Florio del 1920. Dissero tutti che era matta, perché non c'era corsa più massacrante. Invece, nonostante il diluvio che quell'anno imperversò sui 432 chilometri del circuito delle Madonie, lei si comportò bene. Non ebbe però fortuna: la sua BUICK, rimasta senza benzina, si piantò a soli 20 chilometri dal traguardo, quando era in ottima posizione. Vinse Guido Meregalli, su Nazzaro. Due anni dopo, nel 1922, volle riprovarci e poco mancò che, per una ripicca, il suo compagno di squadra, Enzo Ferrari, venisse fatto fuori dalla mafia siciliana. Sembra che l'Avanzo si fosse terribilmente seccata con lui perché le aveva sostituito il carburatore dell'Alfa Romeo "ES Sport", in perfetta efficienza, con quello della sua macchina, uguale ma difettoso. Un gesto poco sportivo, accompagnato da una battuta ancor meno galante che la fece inviperire: "... tanto quella lì non farà niente". Per vendicarsi Maria Antonietta si rivolse allora a un capo della mafia locale, implorandolo di aiutarla. "Facesse affidamento pure su di me, qualsiasi cosa avesse bisogno", le rispose il fiero siciliano. "Rivoglio il mio carburatore", ribatté la baronessa. "Non dubiti, bella signora, avrà il suo carburatore e anche il cuore di quell'infame. Su un piatto d'argento". Spaventata da quella brutale promessa, la baronessa cambiò idea e rinunciò al favore. In seguito raccontò una storia diversa, che tuttavia non escludeva del tutto la prima. Disse che un gruppo di suoi amici, tutta gente d'onore, dopo ogni suo passaggio, per aiutarla, gettavano grosse pietre sulla strada allo scopo di rallentare Ferrari. Non contenti, alcuni erano andati oltre, conducendo sul percorso addirittura un gregge. Alla fine vinse Giulio Masetti su Mercedes "4500", mentre sia lei sia Ferrari dovettero ritirarsi. Molti anni dopo il "Drake" la ricordò in un suo libro, riconoscendole una "guida disinvolta e precisa". L'Avanzo non si confrontò comunque solo con lui, ma con tutti i grandi campioni del tempo. Tra questi anche con l'esordiente Tazio Nuvolari che la batté, ma con difficoltà. Accadde al Circuito del Garda del 1921. La baronessa si era schierata al via con un'Ansaldo "Tipo 4" e duellò col mantovano che aveva la stessa macchina. Vinse Corrado Lotti, Nuvolari fu secondo e lei terza. Mario Morasso, scrittore futurista e articolista della rivista "Motori Cicli e Sports", fece questo ritratto dei partecipanti: "Mi sono divertito un mondo a guardare i concorrenti. Ognuno ha una faccia speciale diversa da quella di tutti i giorni: Eugenio Silvani par che abbia la testa di legno, immobile, colla punta del naso diretta al traguardo. Meo Costantini, oltrepassati gli 80 all'ora, va trasformando la sua fisionomia corretta e sorridente di 10 chilometri in 10 chilometri, finché, arrivato a 100, sembra un vero assassino. I Concili restano impassibili, col vestito all'ultima eleganza sotto la 'combinatìon'. Nuvolari a denti stretti sembra che trasporti lui la macchina a furia di poderose spallate... e finalmente, ammirata da tutti, la signora Avanzo, sorridente e fresca, al passaggio delle tribune scandisce con le piccole dita il numero dei giri compiuti e lancia colla mano aperta in alto il classico saluto del gladiatore". Quello stesso anno, al Gran Premio Gentleman di Brescia giunse terza assoluta, su Alfa "ES Sport", e prima nella speciale classifica riservata alle Dame. Giuseppe Merosi, progettista della vettura, volle complimentarsi con lei. Poi, di nascosto, si rivolse a Ramponi, il meccanico dell'Alfa che le era stato accanto durante la corsa, chiedendogli: "Come guida?", "Ce n'ha d'Avanzo" gli rispose quello ridendo. La battuta, passata di bocca in bocca, finì il giorno dopo sul "Guerin Sportivo". Negli anni del suo splendore femminile, incontrò anche Gabriele d'Annunzio. Il Vate, affascinato, la volle con sé per qualche tempo, al Vittoriale. Ma anche lì fece un sacco di disastri. Fu lei, per esempio, a far morire d'indigestione l'amatissima Cheli, una grossa tartaruga che il Poeta aveva ricevuto in dono dalla contessa Casati Stampa. La bella Maria Antonietta, sapendola golosa di tuberose, gliene aveva fatte mangiare talmente tante che la povera bestia "scoppiò". Imbalsamata e replicata in tante piccole spille, la Cheli diventò poi uno dei "cadeaux" più preziosi che d'Annunzio regalava ai suoi fan. Una tartarughina d'oro la diede anche a Nuvolari, accompagnandola con la famosa frase: "All'uomo più veloce, l'animale più lento"; lui ne fece il suo simbolo. Assentatesi per qualche anno dalle corse, la baronessa vi tornò nel 1926 per prendere parte, con una Mercedes "180 HP Tipo K", alla Coppa della Perugina dove ottenne un buon terzo posto nella classe oltre 2000 cm3. In seguito disputò anche quattro Mille Miglia: quella del 1928, in coppia con il playboy Manuel de Teffé, figlio dell'ambasciatore del Brasile a Roma, su Chrysler "Series 72". L'auto gliel'avevano venduta i piloti MINOIA e BALESTRERO, con cui aveva fatto società e creato anche una scuderia, molto prima che Ferrari facesse la sua. Poi partecipò all'edizione del 1929 su Alfa Romeo "6C 1750 SS" e a quella del 1931, su una Bugatti "Type 43". Nel 1932 infine gareggiò con un'Alfa Romeo "6C 1750 GS" spider Touring della Scuderia Ferrari. In tutte e quattro le occasioni però non riuscì mai a concludere la corsa. Gli amici le dicevano ogni volta di lasciar stare. Quella era una corsa per uomini duri, che richiedeva forza fisica, occhio sicuro e sangue freddo. Ma lei non mollava: "Chi vorrà negarci queste qualità?", ribatteva infuriata. E a chi, più subdolamente, le faceva notare che ne avrebbe sofferto la sua femminilità, rispondeva "L'eleganza di una donna si adatta benissimo a quella della macchina; anzi, l'una e l'altra si completano". Nell'edizione del '28 conobbe il pilota italo-americano Ralph de Palma. I due fecero amicizia e de Palma la invitò a correre sul circuito di Indianapolis. Lei attese qualche anno, poi partì per l'America e si presentò al via nell'edizione 1932 con una strepitosa Miller Special che lo stesso De Palma le aveva messo a disposizione. Per gareggiare aveva dovuto farsi rilasciare un permesso speciale perché alle donne era stato proibito di partecipare a quella gara. Dopo le qualificazioni (dove tuttavia non brillò affatto) ripartì improvvisamente per l'Italia: "Motivi di famiglia", disse: una bugia per evitare una bruttissima figura. Tutte queste sue avventure e molte altre ancora le raccolse poi in un libro, oggi una rarità, intitolato "La mia vita a 100 km all'ora", pubblicato dall'Istituto Editoriale del Littorio di Roma. Un grande successo che ebbe anche la prefazione di Mario Carli, fondatore, con Marinetti, del movimento futurista. Pur continuando a frequentare l'ambiente delle corse, la Avanzo smise per qualche anno l'attività. Nel 1939, oramai cinquantenne, si lasciò tentare ancora una volta e accettò di partecipare con una Fiat "1100 Sport" alla Tobruk-Tripoli, la Mille Miglia africana che aveva preso il posto di quella vera, quell'anno sospesa per un tragico incidente avvenuto nel '38. Si piazzò solo sesta su otto concorrenti. Fu la sua ultima gara. Poi più nulla. Dopo la guerra, qualche rivista continuò a ospitare le sue colorite memorie, fotografandola accanto ai cimeli del suo passato sportivo. Quando aveva appena superato i settanta, nel 1961, si racconta che sfrecciasse velocissima per le strade di Roma alla guida di una "Giulietta Sprint". A un vigile che la fermò per eccesso di velocità, ribatté: "Cosa vuole, se la mia automobile va a 160 all'ora, io vado a 160 all'ora". Morì il 17 gennaio 1977, a 88 anni. Il diciassette: odiava quel numero che non aveva voluto mai sulle sue macchine. Diceva, come molti, che portava sfortuna. Aveva ragione. Ma quel giorno non riuscì proprio a evitarlo. |